Raccontiamo del tango, una danza, una storia che contiene al suo interno spiritualità ed emozioni e abbiamo sentito un a argentino che l’ha vissuto a diretto contatto con la realtà del suo paese e che continua a rivivere con emozione e sensibilità
Mi chiamo Pablo Helman, argentino di nascita, un poco veneto di adozione (la cittadinanza italiana mi è stata conferita dal comune di Arquà Petrarca).
Il tango ti aspetta forse non lo capirai oggi, però arriverà il momento nella tua vita in cui nell’ascoltare un tango, ti renderai conto che il tuo cuore batte al suo stesso ritmo e che la tua storia assomiglia al testo che stai ascoltando.
Il tango ti racconterà dall’amore incondizionato, dell’amante eterna che aspetta un’opportunità dalla vita, della tua migliore amica in perenne solitudine, dello zio emigrante al sud del mondo che non ha mai fatto ritorno, del nonno che un giorno partì ed un altro giorno qualsiasi ritornò, della piazza del quartiere della tua infanzia che ora è un condominio, la storia di un amico che non c’è più, di quella mano tesa che non dimenticherai, di quella sfida all’ultimo sangue fra amici, di follie e di amori della giovinezza che non tornerà, di chi beve per dimenticare, di chi non dimentica, di chi si lascia andare senza lottare, di chi si ribella e non molla mai.
In fondo il tango è sempre una storia…la tua, o la tua, o la tua
Eh si…il tango racconta pezzetti delle storie di ogni uno di noi perché il tango è universale e uscito da Buenos Aires ha conquistato il mondo.
Il 30 settembre 2009 il Tango argentino viene dichiarato Patrimonio culturale dell’umanità.
Si legge nel sito web dell’UNESCO estraggo qualche motivazione: “il Tango “incarna e incoraggia sia la diversità culturale che il dialogo”.
Questo tango come nasce? Anche questa è una storia
Stazione Marittima di Genova, l’immaginazione mi porta all’inizio del 1900…da questo molo, stipati sulle navi partono, verso una speranza di vita migliore, più di tre milioni di italiani che si sommeranno ai due milioni di spagnoli e altrettanti da tutta Europa, Polonia, Ucraina (i miei bisnonni vengono di lì).
Una buona parte di immigrati va a lavorare nelle sterminate terre fertili della Pampa Argentina. Gli altri si riversano nelle fabbriche alla periferia della capitale. In città arrivano anche contadini che abbandonano la campagna, neri non più schiavi, e soldati reduci da tante guerre.
È in questi sobborghi che le storie si mescolano, si incrociano; storie di terre lontane, di nostalgia ma anche di tanto coraggio per andare incontro alla vita, di ribellarsi al destino; nel ventre di questa periferia comincia ad amalgamarsi una forza immensa, un sentimento: si chiamerà tango.
Quando sbarcavano venivano alloggiati gratuitamente per 5 giorni all’ “Hotel de inmigrantes”. All’uscita dall’hotel dei camion di traslochi promuovevano l’affitto di alloggi spartani, a basso prezzo i conventillos.Il nome conventillo venne dato dalla gente del posto per sottolineare l’enorme quantità di stanze presenti, quasi come le celle di un convento. Nelle periferie si ergevano 2400 conventillos in cui erano stipate 140.000 persone, il 15% del totale.
Questi caseggiati erano costituiti generalmente da due piani in cui si trovavano lunghe file di stanze in legno o in lamiera, fino a 45 ! per piano…..
Si condivideva ,un cortile in cui si trovava uno spazio in cui cucinare, un solo WC e una sorta di pozzo per tutti gli inquilini.
Amicizia e tradimenti, successi e sconfitte, passato e futuro, abbracci e coltellate amore e odio, tutto questo sotto l’ombra di caprifoglio, fra il fango e quelle note musicali che compongono un tango…
El conventillo fu una scuola di vita, di sopravvivenza,…
La voce unica, del feo, il brutto Edmundo Rivero ci racconta un pezzetto di queste storie con una milonga che dice così:
“Sono nato in un conventillo nella strada Olavarria, sono stato cullato nell’armonia di un concerto di coltelli. Vecchi cortili in mattoni, dove sono rimaste registrate sensazionali gare canore e al finale del contrappunto menavamo qualcuno per rallegrare la serata”.
Il tempo passa, ma la storia dell’umanità rimane, ci sono vecchie e nuove ingiustizie, vecchie e nuove immigrazioni… e fra tante storie , la MIA storia…
Ero un giovane porteño , e vivevo da meravigliosamente da giovane.
Ma tutto questo, di colpo, si interruppe brutalmente.
Argentina 1976. addio democrazia, libertà di espressione, di riunione; di nuovo l’esercito nell’università, nelle strade, nella città, nel paese, C’è da prendere una decisione urgente!…e decidemmo di lasciare l’Argentina. In viaggio! Destinazione Italia.
Avevo 20 anni, e la vita era di nuovo al punto di partenza; di certo quella gioventù spensierata, leggera, idealista, era finita per sempre.
Saliamo sulla nave, ci troviamo sul ponte, una sirena interrompe il silenzio, partiamo. Lentamente Buenos Aires scompare, immobili con lo sguardo fisso all’orizzonte, passa un lasso di tempo infinito, indefinibile, intorno a noi il mare, solo il mare.
Ormai sono passati tanti anni, ma con me ci sono due personaggi che mi accompagnano sempre : il primo, un nome femminile che non è una donna è una città che si chiama Buenos Aires,il secondo, una musica, un sentimento che si chiama tango.
Il tango non è la musica di Buenos Aires, il tango è Buenos Aires.
Una grande poetessa argentina, Eladia Vazquez, descrive così la sua città, la mia città nel canto di Roberto Goyeneche :
“Anche se mi volti la schiena di cemento, anche se mi guardi trascorrere indifferente, ti amo! Buenos Aires, e alla tua gente,
e tra la tua gente, senza volere, ti trovo, mi trovo… Perché sono come te, che si nega o si dà, Ti proclamo: Buenos Aires, la mia città!”
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