Il Morbo di Parkinson: un’intervista

Il Morbo di Parkinson: un’intervista

Articolo tratto da un’intervista di Sergio La Bella a cura di LP Network. 

Ospite in studio: Dott.ssa Antonella Caria, medico chirurgo, specialista in neurologia, esperta in Morbo di Parkinson, membro del centro Parkinson della Ulss n° 8.

Domanda: “Inserita nell’ambito delle malattie neurologiche dell’età avanzata, come si presenta la malattia di Parkinson?”

Dott.ssa Caria: “Si tratta di una malattia degenerativa la cui la causa è tutt’ora sconosciuta. Alcune cellule del nostro cervello, che producono un ormone importantissimo che è la dopamina, degenerano e muoiono. Quando la quantità di queste cellule si riduce di oltre il 60%, allora compaiono i primi sintomi.”

Domanda: “Quali sono questi sintomi e quando viene diagnosticata la malattia?”

Dott.ssa Caria: “Più frequentemente la malattia esordisce dopo i sessanta anni. L’incidenza a quella età equivale all’1, 2 %, poi progredisce man mano che l’età avanza, fino ad arrivare al 5% dopo gli 85 anni.”

Domanda: “La malattia è ereditaria? Ha una familiarità?”

Dott.ssa Caria: “Talvolta vengono delle persone alla nostra osservazione per il semplice motivo che in famiglia qualcuno era stato affetto da Parkinson. In realtà le forme genetiche del Parkinson contano solo il 5% dell’incidenza complessiva.”

Domanda: “L’incedere parkinsoniano è una caratteristica nota, quali sono gli altri sintomi?”

Dott.ssa Caria: “I sintomi più importanti, tra l’altro patognomonici, sono: lentezza nei movimenti o bradicinesia, rigidità muscolare e tremore a riposo.”

Domanda: “Per una persona che soffre di Parkinson, quali sono le cose che può fare e quelle che non può fare? Si tratta di una malattia disabilitante?”

Dott.ssa Caria: “E’ una malattia benigna, che si può curare. Se non curata, le limitazioni riguardano la lentezza e la rigidità, se curata il paziente non accusa particolari deficit.”

Domanda: “Non vi sono dunque limitazioni nella guida della auto mobile o nell’eseguire compiti particolarmente difficili.”

Dott.ssa Caria: “Una volta posta la diagnosi, la commissione patenti chiama il paziente. Normalmente non si pongono limitazioni alla guida.”

Domanda:”Per quanto riguarda le funzioni cognitive, la malattie crea dei disequilibri?”

Dott.ssa Caria: “Il paziente parkinsoniano non è un paziente demente, a meno che accanto al Parkinson non vi siano delle comorbilità  neurologiche. Comunque il decadimento cognitivo non è parte integrante di questa malattia.”

Domanda: “A che punto è la ricerca? Vi sono degli spiragli che lascino intravvedere una terapia definitiva della malattia?”

Dott.ssa Caria: “Si tratta di una malattia piuttosto frequente, quindi vi è molta ricerca in campo. Le direzioni di ricerca più promettenti vanno nella direzione dello studio delle cellule staminali, oltre che nella sintesi di nuovi farmaci, o di nuovi interventi neuro chirurgici o nella stimolazione elettromagnetica.”

Domanda: “Qual è oggi la terapia farmacologica più accreditata?”

Dott.ssa Caria: “Il gold standard terapeutico è l’uso della dopamina. Si tratta di una terapia sostitutiva del prodotto della funzione delle cellule degenerate. Vi sono dei farmaci simil dopamina che possono essere erogati in molti modi, sia per bocca, che per cerotto, per via sotto cutanea o con pompa intra duodenale.”

Domanda: “Come viene posta la diagnosi di Parkinson? Vi sono esami strumentali?”

Dott.ssa Caria: “La diagnosi certa di Parkinson è solo post mortem. La diagnosi in vita è una diagnosi clinica di probabilità. Il paziente deve presentare dei sintomi cardinali: lentezza nel fare qualsiasi cosa ed in associazione uno dei due sintomi che sono la rigidità e/o il tremore a riposo. Nella prassi clinica viene comunque sempre richiesta una tac cranica per escludere che si tratti di una forma secondaria, magari ad una neoplasia o ad un traumatismo ripetuto, come nel caso del Parkinson dei pugili. Un esame strumentale che può essere un valido ausilio diagnostico è la Spect che utilizza una sostanza radio attiva che si attacca specificamente ai recettori delle cellule che producono dopamina. Il mancato attacco indica che non vi sono le cellule. L’esame è lungo, indaginoso e costoso.”

Domanda: “Si può guarire completamente dalla malattia liberandosi così per sempre dai farmaci?”

Dott.ssa Caria: “Purtroppo si tratta di una malattia cronica inguaribile, ma ben curabile. Una buona terapia permette al paziente di condurre una vita pressoché normale. Se si tratta di un paziente di età inferiore ai settant’anni, si utilizzano dei farmaci dopamino agonisti, che hanno il vantaggio di avere un effetto prolungato nel tempo, limitando così il numero delle somministrazioni nelle 24 ore. Sono dei farmaci che però tendono nel lungo periodo a determinare effetti collaterali negativi cognitivo-comportamentali. Per pazienti più anziani il gold standard è la levodopa, farmaco che offre i migliori risultati, il cui effetto però decade piuttosto rapidamente. Man mano che la malattia avanza, bisogna ravvicinare le somministrazioni, fino ad arrivare ad una somministrazione continua in pompa d’infusione.”

Domanda: “Tra le terapie più innovative citava prima la terapia chirurgica. Ci può spiegare in cosa consista?”

Dott.ssa Caria: “La terapia chirurgica è stata messa a punto circa 20 anni fa proprio dall’Ospedale di Vicenza. Si tratta dell’impianto di elettrodi in una zona del cervello che prende il nome di ‘nucleo sub talamico’. Gli elettrodi sono collegati ad un pace maker posizionato in parete toracica. La stimolazione dell’area cerebrale suddetta allevia i sintomi, pur in assenza di sufficiente quantità di dopamina. La terapia chirurgica non sostituisce la terapia farmacologica, ma allevia i disagi soprattutto nei pazienti in cura da lunga data. In tutti i casi è consigliabile una regolare attività fisica (almeno 3 ore alla settimana), che si è rivelata essere un ottimo coadiuvante di tutte le terapie principali.”

Sergio La Bella

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