Continuiamo a parlare del tema sulla violenza sulle donne e sempre con l’avv. Luisa Trivella avvocato civilista, mediatrice familiare e con la dott.ssa Alice Xotta sessuologa, psicoterapeuta cerchiamo di dare ulteriori risposte constatando che parlando di violenza di genere si incontrano fatalmente delle mentalità piene di pregiudizi. Abbiamo chiesto quali sono le condizioni che concorrono nell’instaurarsi dei pregiudizi e quali sono gli interventi concreti che si possono fare per cambiare certi modi di pensare.
“Il pregiudizio riguardo la disparità di genere è ancora altamente diffuso in tutti quei messaggi sessisti che ci bersagliano in maniera diretta o anche subliminale nel quotidiano– risponde la dott.ssa Xotta – Non bisogna pensare che si tratti di un fenomeno che attiene ad un punto di vista esclusivamente maschile. Il pregiudizio non ha un’unica direzione che va dall’uomo alla donna. Ad esempio l’accudimento della prole viene ancora riconosciuto come prerogativa esclusivamente femminile, quando invece oggi giorno, per esigenze di vita pratica e concreta, questa funzione viene assolta sempre più spesso dalla figura paterna. Qui il pregiudizio risuona nella definizione, con significato devirilizzante, di un papà ”mammo”, mentre invece si tratta di una conquista paritaria tra uomo e donna. Per questa ragione, per poter togliere l’immagine negativa addossata ad un papà che si occupa più dell’accudimento dei figli piuttosto che della carriera lavorativa, è importante che anche le donne riescano a integrare dentro di loro la possibilità di vedere il compagno/partner attore di tale funzione. Lasciar spazio agli uomini, significa progredire verso il superamento di certe forme di “prevaricazione femminile”. Le strategie di accudimento ed educazione della prole dovrebbero essere condivise dai due partner, con pari dignità di ruoli.Ancora oggi l’educazione scolastica, sin dalla più tenera età, prevede una rigida distinzione dei ruoli maschile e femminile, che appare decisamente anacronistico. La letteratura scientifica ci invita a prendere atto che un maschio e una femmina, cresciuti in egual modo, con la stessa educazione, svilupperanno le medesime abilità. Ciò dovrebbe spazzare via pregiudizi come quello che vede le donne mediamente meno abili nella guida dell’automobile, oppure come quello che afferma una presunta minor sensibilità emotiva dei maschi. Ai bambini insegniamo di tutto: da come si allacciano le scarpe a come si prepara la cartella, da come si attraversa la strada a come non accettare caramelle da sconosciuti, ma non insegniamo nulla che riguardi l’ambito relazionale in tema di disparità di genere, anche negli aspetti più basilari, come il fatto che una bambina non deve sentirsi un maschiaccio se si comporta in maniera decisa, così come un bambino non deve sentirsi una femminuccia se ha un animo sensibile.”
In tema di violenza di genere, com’è la situazione legislativa in Italia e all’estero?
“Esiste un ampio corpus legislativo, pensiamo ad esempio alla convenzione di Istanbul – dice l’avv. Trivella – L’Italia tra l’altro è stata uno dei primi paesi europei a ratificarla con legge del 2013. La convenzione di Istanbul si pone come obiettivo quello di prevenire, di contrastare, di lottare contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica. Quando si parla di violenza domestica mi riferisco sia alla violenza che può essere agita nei confronti di donne, ma anche a quella subita dai soggetti più fragili all’interno della famiglia. Pensiamo al tema della violenza sui minori sia diretta che ‘assistita’ e alla violenza sugli anziani o persone deboli.”
Che cosa si può fare nel momento in cui la violenza si manifesta e come agire a livello terapeutico su chi ne subisce gli effetti collaterali?
“Mi riferisco in questo caso ai bambini che in realtà sono riconosciuti come vittime invisibili di situazioni di violenza – continua l’avv Trivella – Un bambino non ha la capacità né la possibilità di fare denuncia. Non lo può fare sia in termini strettamente legali, né può farlo da un punto di vista emotivo. Facciamo l’esempio, piuttosto ricorrente, del padre che mette in atto sistematicamente violenza sulla madre. In questo caso il bambino si trova scisso emotivamente tra l’empatia drammatica nei confronti della madre, vittima della violenza, e l’idealizzazione della figura paterna, che in quel caso si gioca nel ruolo di carnefice.”
Quindi cosa possiamo fare per questi bambini?
“Talvolta i casi di violenza, subita o assistita da bambini – dice la dott.ssa Xotta – appaiono sin dall’inizio piuttosto conclamati, ma dobbiamo prestare particolare attenzione a tutte quelle situazioni che si manifestano in maniera più subdola. Un bambino, quando non è vittima diretta della violenza, non si presenterà con lividi o tracce inequivocabili di violenza fisica, ma il suo danno psicologico potrà manifestarsi con dei comportamenti che debbono destare un immediato allarme.”
“Quali sono questi comportamenti? Quali segni possono ragionevolmente instaurare un sospetto di violenza assistita dentro le mura domestiche?”
“Spesso riscontriamo nel bambino un comportamento particolarmente irruento, un comportamento disturbante in classe – risponde la dott.ssa Xotta – che talvolta viene sanzionato disciplinarmente in maniera molto severa. Questo bambino però sta semplicemente esibendo un malessere ed una richiesta d’aiuto. Sarà compito degli adulti, come insegnanti, parenti non conviventi, psicologi, quello di interpretare tali segni, senza mostrare atteggiamenti accusatori, senza giudicare la vittima. Altrettanta attenzione bisogna prestare verso quei bambini che si vogliono mimetizzare con l’ambiente. Alcuni per eccessiva timidezza, altri per paura o per pudore. Ci sono bambini che non disturbano, che sono riservati, silenziosi, che magari mantengono anche un ottimo rendimento scolastico, che però mantengono celato con un sigillo segreto il loro grande disagio psichico. Questi sono i bambini più in pericolo, sia per la reiterazione della violenza che subiscono, cui nessuno pone fine, ma anche per il rischio di incontrare da adulti un disturbo post traumatico da stress, ossia una patologia psichica reattiva che si manifesta a distanza dall’evento traumatico, o anche delle forme gravi di depressione o di costante stato d’ansia.”
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